Si
chiama Benjamin. Avrà cinque anni. È accompagnato dal suo papà che
probabilmente lo porta all’asilo.
Ogni
giorno inventa storie fantastiche. Parla di sé in terza persona. Non sa leggere,
ma “legge”. Davanti al freddo
regolamento dell’ACTV, legge cose che vede solo lui.
Esordisce
così: “Sai papà, cosa c’è scritto qui?”. Il padre sta al gioco: “Cosa?”. “C’è
scritto che Benjamin deve mettere il berretto di papà”. Così il genitore si
toglie il berretto in una fredda giornata invernale e lo mette sulla testolina
del bimbo.
E il
bimbo prosegue: “Qui c’è anche scritto che Benjamin è grande e può portare i
guanti di papà”. Così amorevolmente il padre infila i guantoni nelle manine del
bimbo e le riscalda.
Poi Benjamin
prende i suoi soldatini o un dinosauro di gomma e viaggia attraverso mondi
fantastici ai quali pare che noi non abbiamo più accesso. Eppure sono gli
stessi mondi per i quali tutti abbiamo viaggiato, ma ora abbiamo deciso che un
freddo regolamento esposto in una bacheca ad una fermata del vaporetto non è
altro che un freddo regolamento e che se non sappiamo fare una cosa, semplicemente
non la sappiamo fare.
Allora
perché Benjamin che non sa leggere “legge”? Quali limiti abbiamo posto alla
nostra fantasia e ai nostri viaggi?
Ringrazio
Benjamin che ogni mattina mi insegna che i limiti sono solo mentali e che anche
se non so fare una cosa, posso farla comunque. E grazie anche al suo papà che
non ha smesso di giocare e che ogni giorno mostra il suo amore al figlio e lo
fa crescere senza paure e senza limiti.
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