venerdì 24 ottobre 2014

Tutto è narrazione


Tutto è narrazione

Todo es un cuento. Lo que creemos, lo que conocemos, lo que recordamos e incluso lo que soñamos. Todo es un cuento, una narración, una secuencia de sucesos y personajes que comunican un contenido emocional. Un acto de fe es un acto de aceptación, aceptación de una historia que se nos cuenta. Sólo aceptamos como verdadero lo que puede ser narrado.
El juego del ángel, Carlos Ruiz Zafón

[È tutto un racconto. Ciò che crediamo, ciò che conosciamo, ciò che ricordiamo e anche ciò che sogniamo. Tutto è un racconto, una narrazione, una sequenza di eventi e personaggi che trasmettono un contenuto emotivo. Un atto di fede è un atto di accettazione, accettazione di una storia che ci viene raccontata. Accettiamo come vero soltanto ciò che può essere narrato.
El juego del ángel, Carlos Ruiz Zafón]

Anche le parole che ora state leggendo fanno parte di una narrazione e tra voi e me che le scrivo è stato tacitamente firmato un patto narrativo secondo il quale voi accettate come vere le cose che vi racconto, seppur per il breve lasso di tempo della lettura stessa.

La lettura de El juego del ángel mi sta catturando e intrappolando nelle sue pagine come prima mi aveva catturato L’ombra del vento, dello stesso autore. Si tratta di romanzi a cui pensi costantemente, che non ti lasciano nemmeno mentre non stai leggendo. Penso alla storia mentre cammino per la strada e anelo il momento in cui potrò proseguire nella lettura. “Accattivanti” è il termine preciso, perché siamo loro prigionieri finché non abbiamo chiuso la copertina dopo l’ultima pagina. Eppure non è soltanto la storia che ci intriga (intriga in spagnolo è l’equivalente del nostro “intreccio”).
Le pagine scorrono velocemente tra le mie dita mentre avanzo avidamente nella lettura. È come una droga, una smania feroce, un desiderio intenso di sapere cosa accadrà. Solo quando gli occhi sono troppo pesanti per poter proseguire chiudo il libro.
Eppure tale velocità subisce inevitabilmente degli arresti nel momento in cui trovo nella narrazione delle epifanie, frasi rivelatrici. Lì, tra migliaia di parole nere sulle pagine bianche, alcune frasi spiccano di una luce propria, altre emergono contrariamente per una mancanza di luce, qualche significato nascosto, un messaggio diretto solo a me alla quale è affidato il compito di decodifica.
Allora la lettura rallenta, sono costretta a riprendere il fiato a lungo trattenuto, e a pensare. Di alcune frasi non ho ancora afferrato il senso profondo e non so se mai lo svelerò. Ecco un esempio, tratto sempre da El juego del ángel:

Uno acaba convirtiéndose en aquello que ve en los ojos de quienes desea.

[Uno diventa quello che vede negli occhi di quelli che desidera.]

Quando ho letto questa frase, riferita alla solitudine, mi sono fermata, come mi fermo sempre davanti alle epifanie e ancora non sono riuscita a comprenderne appieno il significato, ma so che era lì, scritta per me. Per me che, come il protagonista del romanzo, le grandi speranze vivono solo tra le pagine di un libro.  [En mi mundo las grandes esperanzas sólo vivían entre las páginas de un libro].

E cosa accade quando poi si leggono frasi che sembrano una voce che parla direttamente a noi dal libro?

Sé que se siente solo, y créame cuando le digo que ése es un sentimiento que también conozco profundamente. Sé que alberga en tu corazón grandes esperanzas, pero que ninguna de ellas se ha cumplido, y sé que eso, sin que usted se dé cuenta, le está matando un poco cada día que pasa.

[So che si sente solo e mi creda quando le dico che questo è un sentimento che conosco profondamente anch’io. So che nel suo cuore custodisce grandi speranze e che nessuna di esse si è avverata e so che questo, senza che lei se ne renda conto, la sta uccidendo un po’ ogni giorno che passa.]

Si può andare avanti dopo che si son lette parole come queste? Si incidono profondamente nel cuore e dopo averle lette non si è più gli stessi.

Credo nella magia delle parole, del loro suono e del loro significato. Credo nella magia del raccontare storie e di ascoltarle o leggerle. È questo che ci rende umani, che ci raffina giorno per giorno e che ci sensibilizza. Non smettiamo di leggere, di ascoltare e di raccontare.

Ecco l’incipit de El juego del ángel:

Un escritor nunca olvida la primera vez que acepta unas monedas o un elogio a cambio de una historia. Nunca olvida la primera vez que siente el dulce veneno de la vanidad en la sangre y cree que, si consigue que nadie descubra su falta de talento, el sueño de la literatura será capaz de poner techo sobre su cabeza, un plato caliente al final del día y lo que más anhela: un nombre impreso en un miserable pedazo de papel que seguramente vivirá más que él. Un escritor está condenado a recordar ese momento, porque para entonces ya está perdido y su alma tiene precio.

[Uno scrittore non dimentica mai la prima volta che accetta del denaro o un elogio in cambio di una storia. Non dimentica mai la prima volta che sente il dolce veleno della vanità nel sangue e crede che, se riesce a fare in modo che nessuno scopra la sua mancanza di talento, il sogno della letteratura sarà capace di dargli un tetto sulla testa, un piatto caldo a fine giornata e ciò che di più desidera: un nome impresso in un miserabile pezzo di carta che sicuramente vivrà più a lungo di lui. Uno scrittore è condannato a ricordare questo momento, perché per allora già sarà perso e la sua anima avrà un prezzo.]


Veleni e condanne per gli scrittori. Credo che però una parte di quel veleno entri anche nel sangue di noi lettori. Non so come questo accada, se attraverso la pelle delle dita che sfogliano le pagine, o attraverso le narici che odorano la carta, o tramite gli occhi che guardano il susseguirsi quasi interminabile di parole di inchiostro color nero veleno o, peggio ancora, attraverso il cervello che si nutre di suoni, emozioni e immagini. Non so come ma accade, ed è un veleno piacevole che inonda la nostra intera anima.

domenica 12 ottobre 2014

Alla stazione

Cammino lungo il marciapiede accanto ad un binario vuoto in attesa del treno che mi porterà a Bologna. Mancano venti minuti alla partenza e osservo le persone che popolano la stazione.
Una profonda sensazione di tristezza mi invade, una malinconia trasportata dal vento generato da un treno di passaggio.
Mi siedo sulla prima panchina libera e mi chiedo perché ne ho cercata una dove non vi fosse seduto nessuno, mentre osservo che anche altri fanno lo stesso. Cerchiamo di mantenere le distanze dai nostri simili, come se non fossimo già abbastanza isolati. Se per caso i nostri sguardi si incrociano li distogliamo velocemente, timorosi di sembrare indiscreti e allo stesso tempo per non essere a nostra volta scrutati.
Cerco di focalizzarmi sui comportamenti e non sulle persone e così sorseggio la mia acqua e penso che ho comprato questa bottiglia a Venezia e su di essa ho lasciato il mio codice genetico come una traccia che ne ha segnato il possesso. Probabilmente finirò di bere l’acqua a Bologna e getterò la bottiglia vuota in un cestino di quella stazione. Forse è stupido ma mi rattrista lasciare un mio oggetto in un luogo che non mi appartiene, eppure tutti lasciamo in molti luoghi tracce silenziose del nostro passaggio.
Bevo un altro sorso e fisso l’orologio impaziente: non vedo l’ora che arrivi il mio treno.  Voglio abbandonare questo triste marciapiede e questa panchina dalla quale ora sto osservando un pezzo di umanità che sfila davanti a me.
Ma non è ancora il momento e mentre aspetto mi soffermo su una coppia di fidanzati. A differenza di quanto sta accadendo a me, penso, per loro il tempo scorre troppo velocemente e tra poco si dovranno separare. I visi sono tristi e lui trascina una valigia che sembra pesare più del dovuto… come il suo cuore.
Il treno che lo porterà via è arrivato prima del mio e lei sembra stringergli più forte la mano in questi ultimi istanti che passeranno assieme. Le parole sono superflue: i loro sguardi sono già abbastanza eloquenti. Lei gli circonda il collo con le braccia mentre lui le stringe la vita e si baciano ripetutamente. Sembra che i loro corpi non vogliano separarsi mentre le loro labbra chiedono avidamente di conservare il ricordo del sapore di quei baci.
Infine si dividono. Lui sale sul treno e, pochi istanti dopo, le porte si chiudono separando definitivamente i loro corpi, ma non i loro sguardi e le loro anime.
Il treno si allontana lentamente mentre lei lo segue con lo sguardo e porta le dita sulle labbra per assicurarsi che il sapore che lui le ha lasciato sia ancora lì.

Finalmente arriva il mio treno e salgo con un peso nel cuore, come se la separazione avesse riguardato me e non loro.
Cerco il mio posto seguendo la numerazione. Fortunatamente è accanto al finestrino: mi piace veder scorrere il paesaggio mentre viaggio.
Il posto accanto a me è vuoto…come il vuoto che ora sento nel mio cuore mentre mi assale il timore che non sarà mai occupato, nemmeno dal ricordo di un bacio datomi prima di partire.


lunedì 6 ottobre 2014

Certificato medico

La mia amica ed io abbiamo deciso di iscriverci ad un corso di pilates. La palestra ci ha richiesto un certificato medico. Entrambe ci siamo recate quindi dai nostri rispettivi medici che ci hanno richiesto un elettrocardiogramma. La differenza però è che il suo medico le rilascerà il certificato gratuitamente, mentre il mio mi ha chiesto 30 euro.
Forse la carta su cui il mio medico apporrà la sua preziosa firma è profumata con essenze di Gucci o Kevin Kline?

Mi chiedo: non dovrebbe esserci una normativa che uniformi i costi per il rilascio dei certificati?

mercoledì 1 ottobre 2014

Lettera del maesto Manzi

Oggi voglio proporvi la lettera che il maestro Alberto Manzi scrisse ai suoi ragazzi di quinta elementare per salutarli.Offre notevoli spunti di riflessione agli insegnanti, ai ragazzi e a tutti noi.
Buona lettura!

Lettera ai ragazzi di quinta

Cari ragazzi di quinta,
abbiamo camminato insieme per cinque anni.
Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti. Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore.
Abbiamo cercato di vivere insieme nel modo più felice possibile. E’ vero che non sempre è stato così, ma ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà. E in fondo in fondo siamo stati felici. Abbiamo vissuto insieme cinque anni sereni (anche quando borbottavamo) e per cinque anni ci siamo sentiti "sangue dello stesso sangue".
Ora dobbiamo salutarci.
Io devo salutarvi.
Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: NON RINUNCIATE MAI, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, AD ESSERE VOI STESSI. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Vi auguro che nessuno mai possa plagiarvi o "addomesticare" come vorrebbe.
Ora le nostre strade si dividono. Io riprendo il mio consueto viottolo pieno di gioie e di tante mortificazioni, di parole e di fatti, un viottolo che sembra sempre identico e non lo è mai. Voi proseguite e la vostra strada è ampia, immensa, luminosa. E’ vero che mi dispiace non essere con voi, brontolando, bestemmiando, imprecando; ma solo perché vorrei essere al vostro fianco per darvi una mano al momento necessario. D’altra parte voi non ne avete bisogno.
Siete capaci di camminare da soli e a testa alta, PERCHE’ NESSUNO DI VOI E’ INCAPACE DI FARLO.
Ricordatevi che mai nessuno potrà bloccarvi se voi non lo volete, nessuno potrà mai distruggervi, SE VOI NON VOLETE.
Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello SEMPRE in funzione; con l’affetto verso tutte le cose e gli animali e le genti che è già in voi e che deve sempre rimanere in voi; con onestà, onestà, onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo, e voi dovere ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza, e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa sempre riuscire ad amare, e... amore, amore.
Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio. Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi.
E ricordatevi: io rimango qui, al solito posto. Ma se qualcuno, qualcosa, vorrà distruggere la vostra libertà, la vostra generosità, la vostra intelligenza, io sono qui, pronto a lottare con voi, pronto a riprendere il cammino insieme, perché voi siete parte di me, e io di voi. Ciao.
 
Alberto Manzi