Quando
scrivo mento.
Mento
a chi legge e a me stessa.
Mi
lascio trasportare dal suono delle parole, seguo la musica. Creo uno spartito e
un ritmo ogni volta diversi.
Se
affido a Beatrice o a Emma pensieri e parole, lo faccio con il grande potere
dell’autrice, con l’onnipotenza della narratrice. Quando il lettore trova un
nome femminile nei miei romanzi è inevitabilmente portato a creare una
sovrapposizione tra la protagonista e me, ma è solo vittima di un inganno.
La
cosa curiosa è che quando scrivo, si tratti di un articolo su questo blog o di
una frase sul mio profilo Facebook, o anche quando pasticcio con la penna su un
foglio bianco, scrivo menzogne; seguo solo il suono delle parole per creare una
sinfonia verosimile e, se questa è orecchiabile, il lettore si farà trasportare
senza porsi troppi interrogativi. Posso quindi proiettare una parte di me
stessa accondiscendente, o dolce e gentile, oppure posso mettere in luce la
parte più sarcastica e pungente, o forse quella triste e malinconica. Questo è
il bello dei mille volti della scrittura: perdere la propria identità e
confondere il lettore .
In
realtà (o forse no) è tutto così effimero e impalpabile come l’arcobaleno di
luce proiettato sul foglio bianco dai
brillantini del mio anello posto sul dito che regge la penna mentre scrivo.
Suoni
e luci sono le parole; contrasti cromatici su un foglio e suoni nella mente di
chi legge. Nulla più che dolci bugie dal sapore di verità.